Mi tremano i polsi e mi emoziono sempre quando devo scegliere da che parte stare. Che cosa e qual è questo stato di cui si parla? E' quello che, tanto per preecisare, ci vuole inquadrati dentro gli schemi, guai a sgarrare, guai ad essere diversi, guai a sfuggire all'omologazione. Lo stato è quello dei politicanti, dei finanziari, dei difensori dei ricchi pronti a fare repressione contro gli ultimi, quello che fa chiudere i centri sociali per poi abbandonare le strutture alla sporcizia e al degrado totale, ma vuoti, senza rompicoglioni dentro, senza nessun antagonismo, senza nessun dissenso. Gli ultras fanno parte di un altro stato, piaccia o non piaccia, il loro luogo è lo stadio ma chi banalizza la questione mentalità, appartenenza, orgoglio, dimentica che lo spettacolo a cui avete assistito per anni, parlo delle coreografie, era soltanto la parte evidente di un movimento, di una espressione, di un modo di essere. L'ultras vive sempre nella sua idea, non ha bisogno, aggiungerei ai tanti che hanno scoperto la passione per il Catania negli ultimi anni, di una squadra in serie A, magari da coppa Uefa. L'ultras c'è sempre, c'è stato e, tranquilli, ci sarà. Magari fuori dallo stadio per quest'anno, ma ci sarà. Certo lo stato che educa il popolo a pane e tv, uomini e donne e grande fratello, ilaria d'amico e calcio-channel parte avvantaggiato, ma è sempre stato così per chi si è seduto dalla parte del torto. Si parte da molto lontano, per arrivare molto più avanti. Se poi per qualcuno la storia è da ridurre agli incidenti allo stadio, ai disordini, ai tafferugli, può chiamare il 113. Qualcuno arriverà...
Non è la prima volta che si tocca questo argomento in questo forum, se ne era già discusso abbondantemente in tempi passati. Una delle cose che ricordo io scrissi, è che oramai era nata la necessità di
creare un nome diverso per due categorie di persone che, unitamente, alla loro base, hanno un crogiuolo di usi e costumi, abitudini, modi di fare e di vivere spiccatamente singolari da mantenere, coltivate sotto intenzioni e auspici la di cui bontà è tutta da discutere e da dimostrare. C’è una parte di costoro, però, che in determinate circostanze, assume comportamenti profondamente diversi, il più delle volte spiccatamente nocivi per la società (intesa come persone che gli stanno intorno). E mentre l’altra parte questi comportamenti nocivi li aberra e li condanna, allo stesso tempo, nel loro insieme, sia i primi che i secondi si fregiano dell’appartenenza ad un gruppo organizzato che comunemente prende il nome di:
ULTRAS.
Coreografie, canti, cori, fumogeni, tamburi, un crogiuolo di colori e di folklore che indubbiamente contribuisce notevolmente alla crescita ed all’apprezzamento dello spettacolo offerto a chi va allo stadio. Poi scopriamo (ma lo sappiamo già) che questi “tifosi di professione”, piuttosto che esprimere una mentalità apprezzabile, condivisibile e carica di valori positivi, cerni-cerni (voce del verbo cernere) ci accorgiamo che esprimono una povertà culturale e sociale disarmante che li porta a vivere in forme del tutto anguste e inadeguate, quasi primitive, ricche di privazioni e ai limiti della sopportazione.
Generalmente l’ultras, per definizione, per sua scelta personale, per forma mentis, ha quasi sempre un cappuccio che gli copre la testa ed una sciarpa che gli copre la bocca. Non ha un nome, solo gli amici lo conoscono; per il mondo esterno è solo un ultras. Si veste in modo anormale, non cura il look, non segue la moda, rifugia le novità. Quando cammina per strada, sui bus, sui treni, sul marciapiede, al bar, anche se non ha vessilli della sua squadra, lo si riconosce. L’ultras attacca se attaccato e soccorre chi è attaccato a prescindere se sia dalla parte del torto o della ragione. L'ultras non smette di essere tale appena si toglie la sciarpa, continua a “lottare” sette giorni su sette. L’ultras considera il resistere oltre 90 minuti in piedi sotto la pioggia o al freddo come un rafforzamento gratificante alla sua insolita “professione”. L’ultras si aggrega ai suoi “simili” accalorandosi ora con un coro cantato a squarciagola, ora narrando di eroiche gesta come gli scontri con le tifoserie avverse negli autogrill o agguati ai pullman avversari di passaggio sotto un ponte con mirabilie lanci di pietre, si inorgoglisce di una passeggiata goliardica nella città avversaria e della preoccupazione che va spargendo tra la gente, si fa partecipe della gioia di partire per una trasferta e trae vanto nella stanchezza del ritorno. L'ultras è difesa intransigente di uno stile di vita (il loro) messo in pericolo da biglietti nominativi, dalle pay-tv, dalla tessera del tifoso, dalla "normalità" che gli sta attorno che cerca ed auspica di normalizzarlo, si difende dall'imborghesimento delle nuove generazioni, dalla "tv-spazzatura" e, soprattutto, dalla repressione. L’ultras vive dietro la logica del gruppo, il suo gruppo, un coacervo di valori, di azioni e di obiettivi che il più delle volte antepongono quello di fondo, ossia la partita di calcio, lo spettacolo offerto sul rettangolo di gioco. L’ultras vive tutto questo, ne va fiero e lo fa suo tanto nella buona sorte,quando un successo sportivo anestetizza la miseria della quotidianità vissuta, quanto nella cattiva sorte, quando l’indigeribilità delle sconfitte determina nella migliore delle ipotesi scoramenti abissali e nella peggiore sfoghi violenti e impetuosi contro ogni cosa sta loro intorno.
Adesso, caro Alod, mi sento di convenire sulla spettacolarità che offriva una curva calorossissima come quella catanese, diciamo fino a 5 anni fa. Mi sembra però ampiamente riduttivo asserire che solo “questa era la parte evidente del movimento”, anche perché, la settimana successiva, non era insolito trovare scritto sui maggiori quotidiani nazionali di assalti agli autogrill, treni vandalizzati, risse, aggressioni e scontri con le forze dell’ordine, anche queste “parti evidenti del movimento”. E se questo è il prezzo da pagare, meglio uno stadio immerso nel silenzio espresso da spalti deserti.
P.S. per i meno cerebro dotati, spero che di queste ultime righe non se ne faccia un uso campanilistico, cosa al di fuori di ogni mia intenzione.