In passato politici appartenenti al gruppo politico il cui capo è proprietario di Mediaset, hanno tuonato contro la fiction che metteva in cattiva luce la Sicilia: si trattava della "Piovra". Una fiction che nelle sue prime edizioni (fino alla 3) metteva davanti al grande pubblico, il profondo rapporto fra mafia, politica e affari ad alto livello: politici corrotti e complici, poliziotti e servizi segreti traditori dello stato e asserviti ai poteri forti criminali, finanzieri proprietari di banche che non disdegnavano il riciclaggio dei denari mafiosi, logge massoniche segrete. Insomma una descrizione verosimile dei fatti italiani di allora e di adesso (visto che in 30 anni nulla è cambiato). Una realtà descritta in un modo da cui emergeva che il baricentro di tutto non era più la Sicilia e che, anzi, aveva nei siciliani le sue prime vittime.
Mi sono chiesto perchè adesso che è Mediaset a proporre e produrre le fiction sulla mafia, nessuno abbia più nulla da ridire. Forse uno dei motivi è il fatto che la mafia, persentata in veste "romanzata", è solo lo spunto per fiction a sfondo violento tutte "coppola e lupara" o, nella versione moderna, "suv, coca e mitra". Una "normalizzazione" della mafia, fenomeno sì criminale, ma tutto sommato fronteggiabile, relegata ai problemi "di famiglie", che ha origine e cuore e fine in Sicilia. Il ruolo della politica e degli affari, la pratica della corruzione sono solo "incidentali", necessari allo sviluppo della fiction.
Questa è la "non realtà" descritta in parodie a fini commerciali che non esitano ad alimentare stereotipi e pregiudizi, nella migliore tradizione di quel gruppo televisivo che ha sempre pervicacemente rifiutato il suo ruolo culturale (o meglio lo ha orientato verso una cultura di massa acritica e consumistica), a favore di qualche telespettatore in più soddisfatto nel vedere confermate la proprie nefande convinzioni sui meridionali.
La realtà, come osserva Gaspare, invece è molto più dura e grave.