Casorezzo (MI), 13 Ottobre 2008
Caro Dario,
la signora Grasso-Raciti, a mio avviso, è una donna semplice, forse con i suoi limiti culturali, ma che gestisce il suo dolore con una grandissima dignità: se talvolta dice qualcosa che non ci piace, con cui non siamo d'accordo, non si può non ricordare tuttavia che è stata colpita dalla perdita improvvisa di una persona cara in un contesto di follia belluina che ha marchiato d'infamia anche la stragrande maggioranza delle persone perbene che ci sono a Catania. Non è possibile non avere comprensione per lei. Che poi la signora si sia fatta prendere la mano da giornalisti in mala fede ed ecceda quanto a esposizione mediatica non è niente che desti stupore: chi ha perduto qualcuno a cui era legato da vincoli di affetto cerca di tovare nella disgrazia una ragione imperscrutabile, perché non si rassegna a pensare che una cosa tanto grave sia avvenuta a caso, senza alcun senso. La signora Raciti ritiene che la sua testimonianza serva a concentrare l'attenzione sul problema della violenza degli stadi: neanche a me piace che su Catania vengano sempre puntati i riflettori per questi fatti, anche io mi sono indignato in trasferta quando mi si è rivolto l'epiteto "assassino" solo perché tifo per il Catania, ma non mi posso nascondere che nelle nostre curve si annidino individui che rappresentano la nostra palla al piede e che dovremmo avere il coraggio di prendere a calci, metaforici, s'intende.
Prima del 2 Febbraio, prima che succedesse l'imponderabile, io, che peraltro sono un carabiniere in congedo, nutrivo un profondo imbarazzo per quei cori contro le forze dell'ordine e mi ripetevo, per mitigare il mio malessere, che si trattava di un repertorio in voga in tutti gli stadi, cosa peraltro verissima. Tuttavia, se il capo ultras che mi ritrovo in tutte le trasferte, appartiene a un clan di Picanello che fa leva sui bassi istinti dei suoi sprovveduti accoliti, allora mi accorgo che l'indifferenza coatta che abbiamo prestato a questi fenomeni allo stadio noi persone dabbene rasenta il limite della vigliaccheria: tu, come me, sei in un certo senso, data la tua professione, un uomo dello stato e delle istituzioni, perché i vari Berlusconi (o Prodi), Scapagnini e Stancanelli passano, l'Italia e Catania restano. Non puoi essere più indignato per una vedova Raciti che per un ceuso qualunque che non ti permette neppure tifare, quando decide unilateralmente che bisogna fare lo sciopero: qualche fischio corale contro queste persone, per far loro capire che è meglio essere cornuto e sbirro che mafioso, non guasterebbe. Vale per me come per te, ne sono convinto. La verità, per tirare le somme, è che Catania è come una persona sana che ha il moccio al naso: dobbiamo avere la prontezza di tirare fuori il fazzoletto e soffiare con tutte le forze. Poi potremo concentrarci con maggiore efficacia sugli sciacalli che si avventano contro la nostra tifoseria senza distinzioni. Cordialmente,
Marco Tullio