Si siamo malati di tifo. Ecco per me il fallimento è il vaccino giusto.
Questo ragionamento potrebbe valere per il “tifoso” della serie A, quelli che hanno la seconda squadra (inter-milan-juve), quelli che rincorrono l’evento, quelli che si presentano solo quando arrivano le strisciate, quelli del “a beddu catania chi hai!” (o beddu paliermu a seconda dei casi), quelli che appena la squadra imbecca l’annata storta e retrocede smettono di seguirla; questi sì che resterebbero “traumatizzati” e prenderebbero risoluzioni impopolari agli occhi di chi invece intende il tifo nella sua accezione più naturale. Ma quelli che non hanno mai guardato la categoria, non hanno mai guardato se piove, se nevica o se ci sono 40 gradi all’ombra, quelli per cui l’attesa per la prossima gara tra sette giorni comincia quando l’arbitro ha appena fischiato la fine di quella a cui stai ancora assistendo, quelli che il sabato sera hanno difficoltà a prendere sonno, quelli che la domenica mattina non ci sono con la testa e che manifestano un palese senso di irrequietezza guardando continuamente l’orologio, quelli che già due ore prima sono allo stadio per incontrarsi anche con chi non si conosce purchè si abbia la stessa sciarpa al collo, per tutti questi, credimi: il tifo è come l’AIDS! Non ci sono né cure né vaccini. Fanno testimonianza di tutto ciò tutti quei tifosi sparsi per tutta Italia che hanno dovuto subire il medesimo gramo destino, e ce ne sono di città illustre come Torino, Napoli e Firenze con scudetti e coppe in bacheca o anche senza trofei come Bari, Perugia, Salerno, Reggio Emilia, Messina, Siracusa, Avellino, Venezia, Modena, Taranto, Trieste, la lista è abbastanza lunga. Chiunque è libero di credere che in tutte queste città, dove puntualmente si registrano stadi affollati, a seguito del fallimento della squadra, sia scomparsa una intera generazione di tifosi e, magicamente, l’anno dopo ne sia apparsa un'altra tutta nuova che prima non c’era. Assolutamente, son gli stessi di prima, son quelli di sempre. Liberissimi di credere il contrario ma non so quanto ciò possa apparire serio. Certo, c’è tifoso e tifoso: io appartengo a coloro che stanno perennemente male, una schiera abbastanza corposa e che conosce un solo antidoto: lo stadio, la maglia, la passione.
Ora io mi fermo qui con questo argomento, non credo di aver altro da aggiungere su quanto già scritto e non vorrei che mi si ritenesse come colui che ansiosamente attende di ricoprire il ruolo del “che vi dicevo io?”
Ognuno si tenga la sua idea, compreso l’idea di riuscire a intuire ciò che farà se la situazione dovesse evolversi nel modo peggiore, sminuendo o sconsiderando chi ha già un esperienza empirica del fenomeno e sa perfettamente di cosa parla e di ciò che bolle in pentola: passare dal calcio alla briscola pazza mi sembra una cosa dell’altro mondo, di sicuro non per veri appassionati.