...ero pronto ad abbracciare mio figlio. Lo avrei sollevato in aria, in segno di trionfo per quel quarto gol che ormai sentivo imminente, come leggendario epilogo di una indimenticabile partita che nei cuori rossazzurri avrebbe rimpiazzato per sempre le emozioni di un Italia - Germania 4-3 a Mexico '70.
Che avrebbe fatto impallidire, per l'autentico e genuino pathos palpabile a tinte fortissime dal Presidente al più sperduto dei tifosi, anche John Houston, regista del mitico "fuga per la vittoria".
E invece siamo qui a commentare un 3-3 che solca in maniera marcata l'ulteriore separazione tra ottimisti e scettici, lasciandoci interdetti su un futuro prossimo che solo una odierna vittoria o sconfitta avrebbe tracciato in maniera quasi definitiva.
Non sto qui a commentare dei due/tre gol clonati dai labronici per il reiterare dei medesimi nostri fatali movimenti difensivi (respinta di Frison compresa), né della generosa concessione del rigore.
So soltanto che, al di là dello scarno punticino, in quel drammatico inseguire il risultato per ben tre volte in una frazione di gara ho visto la forza, l'energia, l'orgoglio trasmesso da una città che non vuole mollare, che non accetta di soccombere ad un'oscura forza che ha deciso come nove anni consecutivi di serie A siano un lusso per Catania.
Siamo vivi, siamo in piedi. Questo è quel che conta. Non molliamo. Non cediamo il passo a nessuno.
Orgoglioso di essere catanese. Per sempre.
Abbracci