Mi va di spendere mezza parola su questo thread, tenendo presente che non vivendo la realtà catanese, qualche mia considerazione potrebbe riuscire fallace e di cui mi scuso anticipatamente.
La Vedova Raciti non si è ancora resa conto che quando nomina, accusandoli, i tifosi del Catania, nomina una moltitudine di persone, la stragrande maggioranza dei quali civili e onesti, che con i fatti del 2/2 e con la morte del marito non c’entrano assolutamente nulla e che mal sopportano a distanza di 10 mesi di essere ancora accomunati a quella disgrazia (perchè al di là di ogni squallida intenzione, sempre disgrazia è). Occorre che qualcuno, il sindaco, un funzionario comunale, un alto ufficiale delle forze dell’ordine, un suo amico con un po’ di sale in zucca, gli faccia capire dove ella commetta il grave errore e gli faccia aggiustare il tiro nelle prossime interviste, che se vuole parlare ancora del suo dramma e del suo dolore, che faccia riferimenti solo a quei 4 delinquenti (10 100 1.000 non è questo il punto) ma non continui più a citare i tifosi del Catania in maniera così superficiale e generalizzata. Se la prenda semmai con lo stato (quello stesso che suo marito rappresentava) che in tanti anni di fenomeno delinquenza negli stadi non ha mai saputo creare leggi adatte a contrastare il fenomeno, che se ci fossero state probabilmente suo marito sarebbe ancora tra noi viventi.
Il giornalista che l’intervista, specie se siciliano, ancor meglio se catanese dovrebbe esser bravo a raccogliere ed filtrare in un certo qual modo cosa la vedova ha da dire perché non deve mai dimenticare che sta raccogliendo le esternazioni di una persona ancora tragicamente affranta dal dolore e ferita nei suoi affetti più cari. Il rischio quindi che con le sue esternazioni rompa una cantonata è altissimo ed andrebbe comunque evitato.
Lo Monaco: non è il massimo della diplomazia e lo sappiamo tutti. E’ un’autentica volpe in questo mondo di ladri e furbacchioni e mi chiedo come mai abbia incorso in una gaffe così clamorosa. Non è verso la Vedova che avrebbe dovuto fare le sue recriminazioni ma su chi ha avuto la squallida idea di andarla a intervistare alla vigilia di questa gara. Una sortita inopportuna questa del giornalista, quasi non si rendesse conto che quanto la signora Grasso ha da dire non fa altro che mantenere ben vivi i pregiudizi e le gratuite maldicenze, richiamando un forte stato d’osservazione (di cui si vuole fare assolutamente a meno) in personaggi e ambienti che squallidamente si abbandonano dietro il facile moralismo.
Non ci si rende conto come dopo i fatti accaduti tutto l’ambiente dovrebbe andare alla ricerca soltanto di tutte quelle cose che potessero apparire come dei messaggi promozionali della propria immagine e della realtà attuale ed invece si preferisce farsi del male da soli.
I tifosi: dovrebbero essere anch’essi un po’ più di spalle larghe, prendendo atto che le imputazioni a loro rivolte dalla Vedova Grasso sono il frutto del suo non sapersi esprimere correttamente piuttosto che mirate accuse alla gente perbene. E chi è stato solito stigmatizzare come immotivato tutto il risentimento della vedova Grasso perché il rapporto coniugale non fosse più sano e idilliaco come alle origini, consideri sempre il dolore che può provare una donna che veda i propri figli perdere il padre, grosso punto di riferimento familiare di cui nessuno in questo mondo può dire di farne a meno.
La Vedova Grasso con la morte del marito si è arricchita? I soldi non li ha rubati ma sono il frutto di tanta generosità, la maggior parte della quale, è stata tutta generosità catanese. Lasciate che rimanga tale, evitando di citarla in continuazione. Le donazioni spontanee anche se seguite ad un forte moto di commozione, non vanno mai rinfacciate, se no perdono di valore e di significato.
La vedova Mortinaro, quando la sento nominare, mi si ribolle il sangue. Accanirsi con considerazioni e prese di posizione così sprezzanti e ricolme di odio verso la memoria del piccolo Di Matteo è quanto di più squallido e perverso la mente umana potesse fare. Il marito, nella sua professione, alla mafia almeno aveva dichiarato guerra e la sua morte ha un senso, una sua spiegazione, seppur aberrante. Ma quel bambino 11enne stava solo giocando a pallone coi suoi coetanei quando è stato preso dai suoi aguzzini, chiuso in uno scantinato per 700 (settecento) giorni incatenato e imbavagliato perché non potesse urlare e disciolto nell’acido quando era già ridotto ad una larva umana dalle dure condizioni carcerarie a cui fu sottoposto. Chissà quanti giorni sperò invano che venissero a liberarlo, chissà quante notti cercò invano il conforto della sua mamma. A volte, quando ci penso, la notte non dormo. Chi ha o ha avuto figli piccoli può capire.
Non si può non provare pietà per queste cose.