Casorezzo (MI), 21 Maggio 2007
Cari forensi,
sono reduce dalla fatica di Genova e da quest’esperienza reco solo amare considerazioni: il nostro campionato dell’anno scorso si è concluso il 28 maggio, questo finisce la prossima settimana, cioè il 27 maggio, e pertanto questa serie A del Catania sembra destinata a durare appena trecentosessantaquattro giorni, neanche un anno intero. Se avessi fiducia nei mezzi del Catania, non sarei così rassegnato, perché basterebbe vincere con il Chievo per ottenere la salvezza, ma in questo maledetto girone di ritorno si è vinto una volta sola contro l’Udinese in otto, e a stento: perché dovremmo battere un Chievo motivato se non si è riusciti a farlo neppure con l’Ascoli derelitto? Se dovessi, invece, fare affidamento sul punticino di distacco da Siena e Reggina, starei davvero fresco, perché Lazio e Milan – è quasi matematico dopo lo scandaloso 3-3 di Empoli – daranno i tre punti ad entrambe.
Ieri sono partito da Milano con cinque compagni (tra di loro Aldo da Como) e, arrivati a Genova, siamo stati scortati dalla polizia dal casello fino a un parcheggio riservato ai sostenitori del Catania, quindi abbiamo proseguito in autobus fino allo stadio. Nel settore ospiti non eravamo in tantissimi, ma tutti animati da un grande entusiasmo, perché la passione rossazzurra non si discute neppure in situazioni disperate. Nella gabbia siamo stati bersagliati dai cori gratuiti di un cospicuo numero di giovanotti sampdoriani in gradinata nord del tipo: «Assassini, assassini!» o «Serie B! Serie B». Qualcuno dei nostri si è abbassato a rispondere. Da parte mia, ho pensato: «Hodie mihi, cras tibi», cioè “Oggi a me, domani a te”. La Sampdoria non è più la squadra di Mantovani, Vialli e Mancini da parecchio tempo: non mi stupirebbe che l’anno prossimo si trovasse in condizioni difficili, cosa che non mi darebbe alcun dispiacere, e non per la sconfitta di ieri, che rientra nel gioco, ma per la meschinità di certi suoi sostenitori.
Il primo tempo è terminato bene con le notizie che arrivavano dagli altri campi e con il punticino virtuale che avrebbe potuto comunque muovere la classifica. All’inizio del secondo tempo, al momento in cui l’Inter ha pareggiato con l’Atalanta, un amico, Armando, ha espresso il suo rammarico. Non avevo bene compreso il motivo di questa reazione a un risultato che apparentemente non ci interessava, ma Armando ha spiegato che all’Empoli sarebbe bastato un punto per qualificarsi alla coppa UEFA: «Adesso finisce 3-3». Mi sembrava impossibile che l’Empoli si prestasse a un gioco tanto sfacciato, ma il risultato finale ha dato ragione ai più smaliziati. Mazzarri la smetterà, credo, di piangere per gli esiti delle partite delle rivali. Poi arriva il goal sventurato di Zenoni, quasi incredulo che il suo tiraccio si sia infilato in rete: Pantanelli... Poi sono seguite le parate di Castellazzi, ovvero gli sprechi dei nostri attaccanti... Poi c’è stata l’espulsione di Silvestri... Poi non è stato concesso un rigore a Corona... Poi la partita è terminata con i soliti giovanotti, i quali, soddisfatti non della loro inutile vittoria, ma della nostra sconfitta, ci hanno salutato facendo un lungo ciao con la mano, come a dire che non ci saremmo più rivisti la prossima stagione in serie A. Siamo rimasti un’ora dentro lo stadio: chi ne ha avuto la forza, non io, si è dedicato nel frattempo a discorsi animati sulle papere di Pantanelli, sulla presunzione di Lo Monaco, sulla pochezza di Sardo, su Caserta e Edusei che saranno squalificati, sui giochi sporchi che avvengono alla fine di ogni campionato. Poi siamo usciti mogi mogi e siamo ripartiti in fretta, desiderosi di far ritorno a casa. Avevo già deciso prima di ieri che non sarei andato a Bologna domenica prossima: adesso quasi mi spiace, perché è soprattutto nei momenti difficili, quando si rischia di dovere accettare un verdetto negativo, che bisogna essere presenti. Tuttavia chi ha bambini piccoli come i miei non può permettersi di essere assente da casa per tre domeniche di fila. A presto,
Marco Tullio