... all'inizio di ottobre del 2006, prima stagione di A, con Pasquale Marino allenatore, alla sesta giornata avevamo solo cinque punti, frutto di un vittoria esterna al debutto col Cagliari + due pareggi interni con Atalanta e Messina ed infine tre sconfitte con Palermo, Inter e Fiorentina con una differenza reti pari a -5 derivante da sette reti segnate e ben dodici incassate...insomma una situazione non molto incoraggiante con una difesa come quella rossazzurra che faceva prospettare un campionato all'insegna della sofferenza...almeno per chi si limitava a guardare il risultato e la posizione in classifica.
Ma c'era di fondo qualcosa che costituiva una solida base che avrebbe generato prima o poi i suoi frutti:
- un gruppo collaudato, praticamente uguale a quello vincente del precedente anno (con le sole differenze del grande Lorenzo Stovini al posto di Paolo Bianco e di Giorgio Corona seconda punta titolare al posto di Umberto del Core)
- lo stesso allentatore, positivo, innovativo, vincente della precedente stagione.Un Pasquale Marino che nel suo curriculum di una ancor breve vita da allenatore contava già ben tre campionati vinti (Paternò, Foggia e Catania) e principalmente un modulo ed una mentalità in campo veramente entusiasmanti
Gruppo consolidato ed allenatore vincenti che in barba ai presunti limiti tecnici della squadra che molti buontemponi la sentenziavano già in B sono esplosi in quel magico 22 ottobre 2006 in quel di Lecce contro la Lazio, sfoderando una prestazione che forse è la più bella vista in questi tre anni sinora trascorsi di Serie A (assieme al 4-0 col Palermo dello scorso campionato).Ed iniziò una cavalcata vincente che ci portò sino alla zona Champions ( o sesto posto, togliendo le penalizzazioni di diverse squadre di quell'annata).Tutto andò a quadrare, in un meraviglioso equilibrio che rendeva vincenti per le innumerevoli palle goal che con quel gioco, con quella mentalità riuscivamo a generare e che sopperivano, sino ad ottenebrarla, la non eccelsa qualità del nostro reparto difensivo.Mentalità vincente, quella che non potrò mai dimenticare, quella che dopo un tremendo 7-0 in terra romanista ci fece vincere 2-0 la settimana dopo con quattro titolari squalificati contro un Parma, con una tale facilità , come se sette giorni prima non fosse accaduto nulla.Era una squadra con un gioco, con un'anima, con un cuore impavido nei confronti di chiunque (vedi contro l'Inter al Meazza): volontà, motivazione, coscienza dei propri mezzi, concentrazione, rispetto dell'avversario.Cinque componenti armoniosamente in sinergia che furono determinanti nel darci quell'infinitesimale differenza in più che ci portò a piegare un Chievo in quel drammatico ed epico 27 maggio 2007, alla fine di un incubo durato tre mesi dove anche i più lucidi ed efficaci schemi di gioco erano divenuti opache ed insipide teorie, dove i giocatori brillanti e vincenti qualche settimana prima erano trasformati in anonime comparse in campo, dopo il cataclisma social-sportivo di quel maledetto venerdì di febbraio.
Poi venne un nuovo Catania, quello di Baldini a cui fu insegnato più che il coraggio la paura dell'avversario... che portò ad un'implosione psicologica e tecnica di un gruppo che per il girone d'andata marciava ancora sulle vincenti tracce lasciate dal tecnico marsalese.Un lento ed incessante spegnersi di un gioco, di uno spirito vincente, lento ed inesorabile sino ad offuscare quasi irreversibilmente le convinzioni dei propri mezzi, una delle componenti di un gruppo vincente...quasi al punto di non ritorno...ma ecco arrivare Walter Zenga del quale non si è mai apprezzato la finezza degli schemi e delle idee di gioco ma a cui si può dare il grandissimo merito e plauso di una capiacità di motivazione del gruppo e di interpretazione a gioco in corso che solo i più grandi allenatori hanno (che sono più grandi di lui solo perchè eccellono anche negli schemi)...come per incanto ci siamo ritrovati un gruppo fiero dei propri mezzi e impavido in qualunque latitudine della penisola.Gruppo umano forse ancor roccioso nel carattere di quello di Pasquale Marino...tanto da rialzarsi mai domo ad un quasi colpo del ko inferto da una Reggina in casa nostra alla terzultima giornata per poi strappare due pareggi ad una Juve zeppa di campioni e ad una Roma per mezz'ora in corsa per lo scudetto..e poi l'entusiasmante stagione 2008-2009 dove in grande stile, in grandi proporzioni fu visto ed ammirato quel qualcosa di cui avevamo solo visto un assaggio le ultime sette del campionato precedente: UNA GRUPPO DI LEONI, DI VINCENTI, questa volta anche maturi e non acerbi come la prima stagione di A, a tal punto da far sognare un'intera città con una difesa mai così forte negli ultimi cinquant'anni grazie alla quale dopo sei giornate ci siamo trovati ad un certo punto della partita al primo posto in classifica in serie A (quando vincevamo a Reggio con rete di Paolucci).
Ed ora l'alba di una nuova era, quella che si identifica con un nuovo allenatore , Gianluca Atzori, alle prese con un gruppo rinnovato e in parte ringiovanito.
Se ben ci riflettiamo, a livello di risultati e di prestazioni della difesa, potremmo paragonarci al primo Catania in serie A, quello di Marino.Vorrei proprio pensare che sia così perchè ciò significherebbe esplodere a partire da questa o forse l'altra settimana, con un gruppo che ritrova se stesso, le proprie energie mentali, le proprie convinzioni.Ma una domanda, una questione mi inquieta e tormenta, sportivamente parlando: SE AI TEMPI DI MARINO C'ERANO DELLE BASI SOLIDE CHE FACEVANO BEN SPERARE, con Atzori in cosa possiamo appigliarci per aver fiducia nell'immediato futuro?Non siamo con un gruppo consolidato, in quanto gente che fungeva da collante , da elemento di coesione sia mentale che tecnica comeStovini e Baiocco è andata via...L'allenatore poi è praticamente senza un passato.Fratelli rossazzurri, ditemi voi, ma in cosa possiamo appigliarci per guardare con fiducia verso una svolta in meglio della squadra e dunque dei risultati???L'unica (e non dapoco) è la solidità della società che sta alle spalle, assolutamente fuori discussione. L'altra porebbe stare nella consapevolezza che in ambito sportivo come in tante attività della nostra vita la mediocrità e l'eccellenza sono sovente divise da una sottilissima linea, da una differenza infinitesimale.Quella che distingue il cafone dal gentiluomo per la semplice tonalità della voce o l'allenatore vincente da quello perdente dalle semplici parole che si dicono ai giocatori durante l'intervallo tra il primo a secondo tempo: una frase , una parola in più o in meno che possono far entrare in campo impauriti o impavidi, affamati o appagati, concentrati o spenti.Ecco ciò che manca in questo momento ad Atzori, al di là delle scelte tattiche più o meno infelici: la capacità di trasmettere, IN CAMPO, ciò che si è costruito durante la settimana di allenamento.E questo non si impara certo a Coverciano: si acquisice in trincea dopo anni di gavetta nei campi di quart'ordine o nei casi più d'eccellenza lo si ha da sempre come virtù caratteriale (vedi Marcello Lippi).Ammesso che Atzori fosse un genio sinora incompreso e che dunque fosse destinato ad emergere prima o poi, quanto tempo dovremmo attendere per questa metamorfosi di mentalità e dunque di risultato?E' questo che da tifoso rossazzurro attualmente non mi fa dormire la notte.
Un abbraccio e FORZA CATANIAAAAA!!!!