PREMESSA: mi sono dilungato, chi si annoia passi pure al messaggio successivo.
Come prevedibile arriva la squalifica per Lucca che si era reso reo di blasfemia. Un arbitro degno di serie C non ha tenuto conto né del momento di gioco che era il 95esimo (quindi gara già conclusa oltre che compromessa), nè ha avuto il buon senso di ponderare l'alto grado di esasperazione che possa sortire una trattenuta di quella durata e di quella vigoria visto che gli sono stati strappati i pantaloncini pur di non farlo proseguire nella sua azione, sfido chiunque a non perdere la pazienza.
Risultato: sacrosanto quanto innocuo cartellino giallo allo stabiese e rosso diretto, quindi esposto a squalifica, per chi invece ha subito il danno.
Blasfemia: blasfemia è un termine greco che unisce al verbo ȕȜȐʌIJİȚȞ "calpestare", il sostantivo ijȒȝȘ, "reputazione" quindi non implica necessariamente la diffamazione di qualcosa o qualcuno pertanto mi chiedo chi possa essersi sentito diffamato se a Lucca in quel comprensibile e giustificato scatto nervoso gli sia scappato un "porco piripicchio" (per esempio).
Forse si dimentica che il calcio non è più soltanto uno sport (forse non lo è mai stato) ma è anche e principalmente business, interessi economici, soldi e per regolarlo a dovere ci voglio regole serie e che non siano avulse dal contesto della competizione.
Blasfemia. E nel mentre assistiamo che nella Roma dei papi, a piazza Sempione, in un tripudio di fucsia e di nero che, somigliando molto ai colori della nostra maglia mi ha destato immediata simpatia, si porta in processione la Holy Vagina in segno di protesta nel perdurare di una cultura misogina e omotransfobica a trazione clericale che ancora pretende di governare le nostre vite e le nostre libertà, e questo nei giorni in cui da Sanremo parte un messaggio chiaro e inequivocabile (guai a sottovalutarlo) e ci dice quanto sia essenziale elevare implicitamente la laicità a principio uguale o superiore alla stessa libertà di manifestazione della fede e di riporle sullo stesso piano. La libertà di vivere al di fuori dagli schemi, "Icona della scorrettezza. Purezza dell'anticonformismo. Politicamente inadeguato. Il rifiuto dell'appartenenza ad ogni ideologia" e i "siamo fuori di testa ma diversi da loro". Ed in questo contesto, a spallate, tenta ancora di farsi largo la censura, un arbitro che si fa strumento per mantenere un impronta di moralismo rigido e intransigente di cui francamente una grossa fetta della società ne ha gonfie le palle. Sarebbe opportuno che ci facessero sapere se l'oggetto di tutela che ha preso a cuore la federazione (che a quanto pare rimane avviluppata in un contesto sotto ingerenza clericale) sia la religione quale bene della collettività o ci si riferisca alla personalità e alla fede del fedele interessato (in questo caso l'arbitro). Sta di fatto che ne è venuto fuori un provvedimento che mira più a proteggere le credenze, piuttosto che le persone. E sono credenze che non sono affatto patrimonio di tutti gli sportivi ma solo di una parte e probabilmente, oggi, anche minoritaria.
Da ricordare anche nel 2014, anche l'Onu aveva chiesto agli stati membri di abrogare ogni criminalizzazione della blasfemia. L'Italia non ha nemmeno preso in considerazione la richiesta e ora il nostro paese risulta essere al settimo posto al mondo quanto a repressione della blasfemia. E' probabile che ci sia qualche paese arabo che sta dietro di noi.
Chissà quanto ci si potrebbe mettere in Italia a capire che la vera blasfemia è mantenere una posizione di netto contrasto e condanna ai danni di un membro di un club che esercita la sua funzione all'interno di un contesto che è espressione di una società secolare e pluralista e non è vincolata a nessun culto particolare, l'unica fede tollerabile nel calcio è quella per i colori della maglia.
Come scrisse Alberto Melloni, “quando qualcuno comincia a pensare che la libertà vada limitata perché pericolosa è tutta la libertà che viene messa in pericolo”.
Forse mi sono lasciato prendere la mano scrivendo questo post ma purtroppo non sopporto più le ingerenza nella vita reale delle persone da un organizzazione che poggia l’intera sua struttura sull’interpretazione di una favola.