Casorezzo (MI), 30 Giugno 2015
Carissimi,
quando Pulvirenti prese il Catania nel 2004, ero contento e soddisfatto, perché, dopo la presidenza dei Gaucci, che non avevo mai digerito e che avvertivo come un corpo estraneo, finalmente si ritornava a una proprietà catanese con tanta voglia di fare che si trasmetteva a tutto l'ambiente. La mia fiducia era al limite del fanatismo, perché ero pronto a dare ascolto a tutto quanto il presidente e il suo braccio destro di allora promettevano, del resto con senso della realtà e senza voli fantastici, tanto che l'unica volta, almeno fino al 2013, in cui non si sono attenuti a quanto dichiarato è stata quando hanno prospettato la serie A in tre anni, mentre invece ne sono bastati appena due. Inoltre, sempre fino al 2013, le poche volte in cui Pulvirenti mi ha lasciato perplesso ebbero luogo in occasione dei dolorosi fatti del 2 Febbraio, quando fu troppo precipitoso nell'addosare la colpa dell'interruzione della partita ai tifosi rosanero appena sopraggiunti e quando due giorni dopo, nella trasmissione domenicale di Simona Ventura, fu troppo reticente riguardo alle vessazioni che la società subiva da certa parte del tifo organizzato che sistematicamente faceva scoppiare dei botti ad ogni partita, causando di proposito pene pecuniarie. Quando le cose sportivamente andavano in maniera fiacca, ad esempio nel 2009/2010 o nel 2010/2011, non lesinavo il mio appoggio e non esitavo a dare ancora credito, perché mi sentivo sicuro sulla base dei risultati raggiunti sul campo che solo pochi anni prima sarebbero sembrati un'utopia. Quando l'anno scorso è arrivata la retrocessione, nonostante il mio disappunto per la presenza di Cosentino individuato come il responsabile di tutte le disgrazie, avevo interpretato l'insuccesso come qualcosa di fisiologico, perché in fondo tutti possono sbagliare e l'errore, se commesso in buona fede, fa parte del gioco: perché accanirsi contro Pulvirenti, se stavolta le cose non erano andate secondo previsioni? Fino a martedì scorso ero dell'idea che, in ogni caso, dal 1946 ad oggi Pulvirenti rimaneva il migliore presidente del Catania di tutti i tempi, quello degli otto anni consecutivi di serie A che facevano impallidire perfino i mitici anni '60. Altro che Massimino, autore di due fugaci e sconfortanti apparizioni in massima serie in oltre vent'anni di gestione e avversato al di là dei suoi meriti da tutti, anche da quelli che ipocritamente lo hanno divinizzato dopo la morte! Purtroppo cominciavo a capire che si trattava di un giudizio che ormai apparteneva alla storia, cioè al passato. Ma Pulvirenti ha voluto guastare una gloria che non avrebbe potuto compromettere neppure con tre retrocessioni di seguito, perché quello che noi abbiamo perduto non potremmo recuperarlo neppure se fra qualche anno ci ritrovassimo in serie A e se vincessimo uno scudetto. Infatti abbiamo perduto l'onore, quello che mi faceva sentire diverso dagli juventini, perché non mi spaventavano le sconfitte, perché tenevo alta la bandiera a dispetto di tutto e tutti, perché sapevo di avere goduto nel 2006 tanto quanto loro non avrebbero mai potuto con tutti i loro scudetti, perché tifare per una squadra come il Catania significava andare contro il sistema che pretende che tutti siano tifosi delle solite squadre, perché i raggiri e gli imbrogli non ci appartenevano, almeno fino alla settimana scorsa. Lo so che non sono responsabile di quello che ha fatto Pulvirenti e che quindi il disonore è tutto suo, ma nel calcio è così: le vittorie, le sconfitte, la gloria e l'infamia ricadono su tutti indistintamente. Del resto, noi facciamo dipendere le nostre gioie e il nostro orgoglio cittadino da una squadra composta da professionisti pronti a cambiare casacca per un compenso migliore e di rado provvisti di un legame territoriale con la città: a pensarci bene, che merito o che guadagno abbiamo noi se questi forestieri vincono il campionato? Il nostro tifo è una follia, ma fino a oggi mi compiacevo di essa. Come sarebbe stato bello retrocedere sul campo! Avremmo avuto la possibilità di un riscatto calcistico, come avvenne dopo il '93. Purtroppo non sarà possibile un'altra Gangi, non basterà affollare le tribune di un campicello sabbioso per affermare che noi abbiamo una differente mentalità, per cui la vittoria non è poi così importante, la cultura del successo a tutti i costi non è un codice di comportamento accettabile e l'amore per la maglia, quale simbolo di un'identità territoriale, è un valore da trasmettere ai figli. Oggi, invece, mi vergogno di entrare pure in argomento su quanto sta succedendo con i miei figli, dopo averli in questi anni di successi cresciuti all'amore per i nostri colori malgrado i comprensibili sfottò dei compagni di scuola per i quali è scandaloso non essere tifosi di una delle squadre della triade. L'anno scorso, dopo la discesa, quando siamo venuti a Catania per le vacanze, per rafforzarne il senso di appartenenza, ho procurato loro la tessera del tifoso, promettendo che li avrei portati alla partita valevole per la promozione. Quest'anno che posso fare? E pensare che il Catania per me in questi anni era il surrogato della città da cui sono partito quando ero ancora un bambino! Pulvirenti non immagina neanche che guaio ha combinato con questo papocchio, perché altrimenti non avrebbe la forza di sopravvivere alla delusione che ha provocato in ciascuno di noi. Ma d'altronde lui martedì aveva fatto sapere di poter dimostrare di essere completamente estraneo ai fatti, mentre ieri è stato costretto ad ammettere la sua colpevolezza. Tutto è perduto, anche l'onore. Non mi ribello più neppure quando alla televisione dicono rosoblù anziché rossazzurri. La giustizia sportiva non può infliggerci una pena peggiore. Vostro,
Marco Tullio