Casorezzo (MI), 9 Marzo 2011
Cari forensi,
è tanto grande lo scoramento per la classifica del Catania che ci siamo scordati che sabato scorso era il quindicesimo anniversario dalla morte di Massimino: o almeno nessuno ne ha scritto. Ricordo di averlo visto de visu per l'ultima volta in occasione del primo derby di coppa Italia con l'Atletico nell'agosto del 1995. I tifosi atletisti, in tribuna B, innegiavano spesso a Franco Proto, ma nessuno, dall'altra parte, rispondeva inneggiando a Massimino, perché, nonostante tutto, è stato il presidente più contestato della nostra storia e anche i tifosi più accesi del '46, malgrado il suo impegno nella nota querelle con la federcalcio, gli perdonarono mai di avere preso sotto gamba il termine del 31 Luglio 1993 imposto dalla FIGC per appianare i debiti. Anzi mi ricordo che qualcuno dei presenti, discutendo con un atlestista che gli rinfacciava di sostenere Massimino, ribatté: "A me di Massimino non importa niente, può morire anche adesso, a me importano i colori, il rosso e l'azzuro". Parole profetiche perché nel corso del campionato 1995/1996 successe l'imprevisto. Come accade solitamente in Italia, e Catania non è un'eccezione, c'è un cattivo rapporto con la morte e quello che fino a un momento prima era ritenuto un irredimibile zaurdo diventò un santo o un eroe o entrambi. Era una persona con i suoi limiti evidenti, ma, quando nel 1992 riprese le redini della società dopo la fallimentare gestione Attaguile, ho accolto il suo ritorno con sollievo perché già l'anno prima si era corso il pericolo di far bancarotta. Onore a Massimino, ma due fugaci apparizioni in serie A in venti anni sono pochi per farne il più grande presidente di sempre, o addirittura l'unico vero, come ho letto in questi giorni da parte di qualcuno in polemica con l'attuale dirigenza: con tutti gli spasimi attuali Pulvirenti ci ha regalato cinque stagioni in serie A di seguito in sette anni. Eppure, sfogliando una monografia sul Catania (C. Gennaro - L. Prestinenza, Dal fondo un traversone, Bonanno editore, Acireale 2004, pp. 93-94), mi sono imbattuto in quest'affermazione di Prestinenza: "Rimase Attaguile a battersi con cento difficoltà, comprese le diffidenze e le resistenze che, da uomo nuovo, trovava nell'ambiente. Non entro nei dettagli: Attaguile comunque si rifiutò, davanti ai problemi creati dalla difficile eredità di Massimino, di portare i libri contabili in tribunale, ciò che avrebbe fatto saltare la società fin da allora". In sostanza, Prestinenza sostiene che le difficoltà economiche che portarono alla frettolosa radiazione, poi commutata in declassamento in Eccellenza, risalirebbero allo stesso Massimino e che Attaguile, l'uomo nuovo (?), osteggiato dall'ambiente (?), non ne aveva alcuna responsabilità. Io sono dell'idea che Prestinenza, evidentemente intimo di Attaguile o altrimenti non saprei chi altro possa avergli passato quest'informazione discutibile, ci abbia propinato questa versione per difendersi dalla possibile accusa di avere puntato su un cavallo, Attaguile, che nel tempo si è rivelato un brocco, per non dire peggio. Voi che ne dite? Cordialmente,
Marco Tullio