Un'enorme lenzuolo con l'immagine di Sant'Agata ricopre la curva dello stadio: si tratta veramente solo di sport? E' possibile che il soprannaturale sia stato evocato per un fatto meramente sportivo?
Mentre i commentatori con sincera incoscienza tessono le lodi della strana commistione per l'effetto scenico e le autorità religiose sforzano un sorriso di circostanza per un atto che considerano forse blasfemo, la sostanza dei fatti si rifugia nella notte dei tempi.
Malgrado indagini antropologiche serie e scevre da ideologia siano vietate per quanto concerne l'ambito siciliano, a non pochi osservatori sarà sfuggita la ripetitività liturgica delle feste dedicate alle patrone in molte città e paesi siciliani, caratterizzate per lo più dalle tipiche processioni del fercolo.
Tale ripetitività può trovare un senso logico solo se si ammette che il sostrato cristiano si sia appoggiato ad un substrato preesistente, dove al posto delle più moderne “patrone” si trovava un vero e proprio idolo (o dea) forse comune a tutte le manifestazioni del genere.
Ed a Catania la Patrona è effettivamente venerata come un vero Dio al di fuori della rigida dottrina cattolica, un Dio che si invoca a protezione ed a sostegno nei momenti più difficili e duri della vita della città etnea.
L'associazione di Sant'Agata con la partita di calcio Catania – Palermo è quindi di per sé sospetta: la sua invocazione rimanda già ad un modo di intendere la gara distorto, una vera e propria guerra per la sopravvivenza, in una situazione nella quale la semplice forza umana degli atleti non si considera sufficiente. Il sentire popolare (forse inconsciamente) vede altre forze dietro l'evento sportivo che potrebbero condizionare l'esito della partita e si arma per combatterle.
La cosa non dovrebbe stupire: in Italia intorno al calcio si agitano interessi “pesanti” e tutti sappiamo come le partite più che sul campo di gioco si decidano tra i corridoi dell'alta finanza. Banchieri, petrolieri, leader politici: tutti puntano ed investono sul calcio, e nel Bel Paese nessuno ha mai avuto il coraggio di perdere sportivamente.
A questo va aggiunto qualcosa di ancora più sinistro, che talvolta viene anche accennato nei finti dibattiti televisivi, ma mai in modo organico. La militarizzazione degli stadi è di per se un concetto che apre squarci evidenti sulla realtà sociale italiana e ci dice chiaramente come il problema sorga lontano dagli stadi e lì venga poi trasferito, usando l'evento sportivo per cercare di dare una valvola di sfogo a tale problema.
Per renderci conto di questo, basta notare la lenienza con la quale vengono giudicati crimini efferati che hanno come attenuante proprio il fatto di avvenire dentro uno stadio, la lucida decisione di non intervento da parte dello stato (anzi, l'intervento è stato proprio quello di pilotare e confinare la violenza in un luogo preciso) ed il rifiuto a discutere le radici del problema, limitandosi a dare la colpa a “pochi ultras”.
Pochi ultras che non potrebbero da soli sopraffare 1500 poliziotti come nel caso di Catania se non grazie al coinvolgimento nella violenza di altre centinaia, forse di migliaia di persone (a Catania come altrove, sia ben chiaro!) che nella vita non hanno più altro sfogo della loro rabbia se non quello di appendersi a qualcosa che li rappresenti. E dopo la distruzione della nostra società (e civiltà) ed il fallimento del materialismo, pare non sia rimasto altro che la squadra di calcio.
Ma allora Filippo Raciti è morto per una partita di calcio? No, l'Ispettore Filippo Raciti è morto mentre svolgeva il suo ruolo, in quello che lo stato ha voluto diventasse il momento più delicato della vita sociale italiana. L'alternativa era tra una violenza pronta ad esplodere a caso nelle periferie e che si credeva più difficile da gestire, e la sua esorcizzazione in un ambito ristretto e controllato. Magari pensando che nel frattempo la situazione potesse cambiare.
Certo, si è ridotto il Sud Italia ad un immenso campo di concentramento pensando che prima o poi qualcosa sarebbe cambiato (e non è cambiato) ed ora lo stesso sta succedendo con le tensioni sociali represse che si stanno accumulando nelle periferie urbane di tutta Italia (ed il sud a tal proposito è una polveriera...)
E mentre gli avvoltoi si addensano sul cielo di Catania e dai commenti televisivi si apprende che alla fine lo Stato non cambierà strategia, non ci si stupisca domani: questa volta ci è scappato il morto, la prossima volta ci scappa la guerriglia urbana. Quella vera però, di due o tre giorni. E non stile Beirut, come detto dai commentatori. Preferisco il paragone con la striscia di Gaza: più calzante alla situazione del meridione d'Italia.
Abate Vella