“U Putenz è semb nu squadron”. Così recitava uno striscione rossoblu in curva potentina quando correva l’anno calcistico 1992/93 e il Palermo di Orazi, Biffi, De Sensi, Favo, Paolucci e Lunerti si apprestava a vincere quel campionato di C1 permettendosi il lusso di battere il Perugia di Gaucci, sulla carta una squadra di B che giocava un gradino più giù, in casa e fuori.
Finí 1-1 a Potenza, uno dei tanti pareggi esterni di quello squadrone (con la “e” finale, nel nostro caso) che perse solo 4 volte quell’anno. Con i 2 punti a vittoria i pareggi servivano a portare legna preziosa e a salvare la media inglese, ma era tutto un altro calcio. A parte Zeman e pochi altri folli si giocava ad uomo, al massimo zona mista e Ventura, non solo allenava il Giarre, ma passava pure per visionario spregiudicato.
Dopo questo amarcord passiamo, parzialmente, al presente. Mirri dimentichi di essere il nipote di Renzo Barbera, ovvero ricordi di esserlo in funzione di ciò che suo zio passò a Palermo quando era proprietario del club. Sí, perché tutti ormai hanno glorificato e quasi santificato l’immagine del Presidentissimo. Solo perché non c’è più. Quando era in vita i discorsi per lo più erano: Barbera picciuli unn’avi e un ci vuole iri in serie A. I più acidi, ben lontano dalle orecchie di Barbera stesso, lo etichettavano come ladro e cuinnutu.
Strano posto l’Italia, da vivo a morto spesso cambia tutto. O ti appendono a un lampione (ed ancora oggi esiste un buon numero di povera gente che porta il vilipendio di cadavere come una medaglia da esibire) oppure a picca ti venerano. Con Barbera Renzo si è verificata proprio quest’ultima istanza.
Al nipote quindi, forse per un inconscio transfer, forse perché a qualcuno, anche nelle sfere “alte” del misero giornalismo locale, non è ancora andata giù l’idea di vedere tramontare il sor Maurizio e, con lui, la possibilita di gustarsi il calcio-strisciate (quel mini campionato di 5-6 partite in cui per una di esse inciti la tua (strisciata) squadra del cuore e per le rimanenti gufi le sue principali avversarie per lo scudetto), al nipote Mirri, dunque, non solo non viene perdonato nulla, ma, in tempo di leoni da tastiera, l’accusa di essere senza picciuli viene sovrastata da quelle secondo cui egli è proprietario del Palermo solo perché deve riprendersi i soldi persi nel tentativo di aiutare la vecchia società due anni addietro. Ci vuoli pacienza...
Palermo-Potenza, una partita normalissima, diventa invece un’importante spartiacque considerato che l’indomani chiude i battenti il calciomercato e, dopo quella data, bisognerà aspettare metà inverno per correre, eventualmente, ai ripari. Così il Palermo è quasi obbligato a vincere, bene, correndo, magari per dimostrare che la trasferta di Teramo valga quella di Foggia nel lontano 1984-85, altro squadrone vincente, con Paleari, Ranieri, Majo, Piga, Maiellaro, De Vitis, Messina, che però in Puglia andò a perdere 2-0 la prima dell’anno fuori, senza nemmeno fare un tiro in porta. Quante analogie.
Io la giocherei così:
Palermo (4-3-3): Pelagotti; Peretti, Lancini, Marconi, Corrado; Odjer, Martins, Palazzi; Valente, Lucca, Floriano.
Boscaglia invece farà così:
Palermo (4-2-3-1): Pelagotti; Peretti, Lancini, Marconi, Crivello; Odjer, Palazzi; Valente, Kanoute, Floriano; Saraniti.
Forza Palermo.