L’8 settembre 1986, quel figlio di p. di Matarrese decretava la morte del F.C. Palermo Calcio per la sua grave situazione debitoria. Il Pescara prese il posto di quella X apparsa sui calendari (ed ebbe tanta fortuna che si trovò dalla C in A in soli 9 mesi) e Palermo, dopo quasi un secolo, si trovò senza la sua squadra di calcio. Le uniche alternative rimaste erano il cinema o la Palermolimpia. Che squallore quell’accozzaglia di modesti pedatori, appropriatasi indebitamente della maglia rosanero.
“u cinqu è Pinuzzu, u gommista ra via Cipressi”
“Ma chiddu unn’è Jachinu, u iennaru i Totuccio, chiddu chi fa u issaru a via Muntaibbo?”
Questi erano pressappoco le voci di fondo al campo dell’Acquasanta, le voci che trovava chi si avvicinava per la prima volta a quella squallida alternativa e non riusciva a capacitarsi che quello lì presente fosse il destino a noi riserbato.
Come dimenticare quella sera dell’8 settembre di 20 anni fa, le voci smorte dal quasi pianto di Geraci e Monastra che dagli studi dell’allora Teleregione non riuscivano a capacitarsi di quest’accanimento inusuale, ingiustificato, quasi strano; quanto strano era che per la prima volta in Italia si impediva ad un intera città di avere la sua squadra di calcio.
A nulla valsero i tentativi di mediazione del presidente del Lecce (una colletta di 100 milioni per ogni squadra di A e 50 per ogn’una di B), le crociate di tifosi propagandate da Orlando e Vizzini.
Tutto risultava vano, come il tentativo di boicottare il totocalcio, il tentativo di invadere la stazione centrale (ricordo ancora i poliziotti in tenuta antisommossa schierati lì davanti con tanto di manganello ben messo in evidenza) o la sede del Coni in via Terrasanta. Come vani furono i numerosi cortei per le strade con saracinesche rigorosamente abbassate, autobus con le ruote tagliate, cassonetti rovesciati per terra, il fitto lancio di monetine verso la sede del Banco di Sicilia in via Roma, come a volerli rimproverare di cotanta tirchitudine per nessun tentativo messo in atto per salvare la squadra.
Ogni speranza moriva ancor prima di nascere: come un improbabile benefattore che saltasse fuori improvvisamente con la somma necessaria ad impedire il misfatto; oppure con un inusitato soccorso da parte delle cugine Catania e Messina che per solidarietà tra squadre corregionali si fossero dichiarate non disposte a scendere in campo senza una soluzione che prevedesse un reinserimento nei quadri federali della sorella maggiore, un gesto che tanti ventilavano ma in cui nessuno credeva e sperava; oppure un sempre meno probabile intervento del governo con qualche legge speciale che poneva il calcio tra le attività ricreative sociali, decretandolo irrinunciabile e facendosi carico di parte dei debiti poteva far ritornare Matarrese sulle sue decisioni. Ma sicuramente sarebbe stato vano, Palermo oramai era stata assurta al gramo ruolo di capro espiatorio, doveva servire da esempio per manifestare a tutte le altre la rigorosità dei provvedimenti della lega e che da quel momento in poi, si doveva filare diritto.
Che tristezza se rapportata ai giorni d’oggi. E tanta tristezza vi si somma se penso che diverse squadre che avrebbero dovuto seguire il nostro stesso destino, trovarono sul loro cammino leggi speciali pronte a soccorrerle. A noi invece rimane lo sfregio.