ero quasi certo che questa sarebbe stata la stagione della definita consacrazione del club rossazzurro. Per la gioia di ogni tifoso etneo.
I presupposti c'erano tutti: una società nella massima serie da sette anni, una struttura dirigenziale ormai con i cosiddetti "know-how" acquisiti e consolidati, un centro sportivo all'avanguardia dove idealmente ogni atleta può giungere al massimo delle sue possibilità. E poi i fattori tecnici: una squadra ben rodata con giocatori apprezzati unanimemente dagli addetti ai lavori. Ed infine un allenatore riconfermato, fattore che mi aveva convinto oltre ai precedenti che questo campionato sarebbe iniziato con un bel grappolo di punti e con un'intera città a sognare l'inverosimile. Come avvenne con Pasquale Marino e Walter Zenga, unici allenatori, da quando siamo tornati in A, riconfermati dal precedente campionato che ci avevano proiettato nella prima parte del campionato ai primissimi posti in classifica.
La difficile realtà che stiamo invece vivendo, considerando i precedenti fattori, sembrerebbe più che mai anomala. E di difficile comprensione.
Eppure la soluzione sarebbe dietro l'angolo, questione di una "calibratura" del giocattolo, come ho detto in qualche posto precedente. Basterebbe neutralizzare, annientare il fattore negativo che sta facendo rendere al 50% tutti i giocatori. Non abbiamo carenze tecniche. I vari Monzon, Leto, Peruzzi, Freire erano ambiti anche da club più blasonati del nostro. Non sono divenuti brocchi all'improvviso. Le antiche certezze chiamate LeGrottaglie, come visto ieri, stanno pure vacillando.
Pure i vari Gomez e Spolli, Vargas, Martinez, necessitarono di diversi mesi prima di dare il meglio di sé. E molti all'inizio li consideravano delle mezze tacche come sta avvenendo per gli acquisti della scorsa estate.
Quali sono i mali che penalizzano il rendimento di questa squadra?
Innanzitutto la forza degli eventi, il peso della storia calcistica italiana che vede il Catania, una delle più "longeve" squadre "non blasonate" in termini di anni consecutivi di A nella storia del nostro calcio. Come l'Avellino dei tempi di Juary, l'Ascoli di Mazzone o l'attuale Cagliari di Cellino. Il caso Parma lo escludo perché "inquinato" dalle porcate dei Tanzi.
Poi l'aver raggiunto un grandissimo risultato come l'ottavo posto. Anche qui la storia parla di squadre che da un anno straordinario il successivo sono precipitate in fondo alla classifica. Emblematico quello del L.R.Vicenza di Paolo Rossi, secondo in A nel 1977-78 e retrocesso l'anno successivo. Lo stesso Avellino, ottavo in A nel 1986-87 e penultimo nel 1988. E infine il recente Bari di Ventura.
Con l'ottavo posto del 2012-13 il Catania è come se avesse dato tutto ciò che poteva. Alla stregua, facendo le dovute proporzioni, dei campioni del Mondo 1982 e 2006 che nel successivo mondiale, con il medesimo allenatore topparono clamorosamente. Come se fossero ormai "arrivati".
Urge una scossa tecnica. Mi dispiace per Maran. Ma ha perso il controllo di una squadra ridotta attualmente d un gruppo di "anarchici" tra lo skazzato andante e l'insofferente. La tenuta psicologica della gara di ieri è ancora un esempio.
Guardiamo anche la nostra storia. Nel 1965-66 il Catania partiva da uno splendido ottavo posto del precedente campionato.
Col medesimo allenatore (Don Carmelo Di Bella). Non furono le partenze di Cinesinho e Danova a rovinare la stagione. Ma il senso di appagamento e la presunzione di tanti elementi della squadra che avevano perso la voglia di soffrire e di sacrificarsi in campo.
Saluti