Caro Marco Tullio la tua conclusione, per quanto piena di simpatica ironia, non corrisponde a quello che è il mio pensiero. No, non possiamo stare "tranquilli", non abbiamo la promozione assicurata. E chi, fra i nostri avversari, pensa di averla, ci offrirà un grande vantaggio.
Io volevo solo ricondurre la critica, prima di tutto quella mia personale, alla realtà. E' su di essa che ha un senso logico. Altrimenti è la solita chiacchiera che non porta a nulla o porta solo danni.
Il Catania è una squadra di provincia e, purtroppo, della provincia economicamente depressa, povera. Che tuttavia ha grande dignità ed alcuni tesori da custodire.Il primo è quello della storia: per me l'iscrizione datata "1946" è importante; è importante che quel numero di matricola (11700) non si perda.
Il secondo è quello della passione del tifoso che ha scritto pagine "uniche" nella storia del Calcio mondiale: una trasferta di 1.000 km con 45.000 tifosi al seguito ha pochi eguali nel mondo.Il terzo è la dignità di fare da sé: tranne la parentesi Gaucci, il Catania ha sempre avuto una proprietà "locale" di persone che amavano la propria squadra come la propria vita.
Il riferimento non celato, capisci bene, è al Cavaliere, che ci ha fatto vivere, nello sport che amiamo, momenti belli e momenti meno belli. Capace di portare a Catania grandi giocatori (quando li sceglieva lui dopo averli visti) e clamorosi "bidoni" (quando glieli consigliavano gli altri). Inviso al sistema che, anche con una valigetta posata sul tavolo con 200 milioni di lire in contanti, ha "radiato" lo stesso il Catania perché non offriva idonee garanzie. Vittima di una ignobile campagna di opinione perché non parlava bene l'italiano, perché davanti alle telecamere faceva qualche gaffe e perché, secondo i comandanti di questa città (che tutto avevano tranne che il dono del comando, visto com'è ridotta oggi la nostra Catania) non rappresentava un'immagine "nobile e colta" della Città.Sappiamo com'é finita e come il Catania sia "risorto" dalle sue ceneri grazie all'amore per lo sport e per il Calcio di quell'uomo. Non ci ha riportato in Serie A, ma ci ha fatto camminare di nuovo a testa alta, anche sui campi in terra battuta di paeselli di 1.000 abitanti.
Ecco perché oggi a me non importa in quale serie giochi il Catania: il Calcio è sport ovunque ed in qualunque serie.
Del presidente odierno non parlo: non ne pronuncio e non ne scrivo il nome dal 23 giugno 2015. Qualcuno dirà che si sta riabilitando: certamente sta facendo l'uomo. La situazione in cui ci troviamo è stata pervicacemente, insistentemente, voluta da lui. Sta pagando ancora i debiti mettendo ogni anno qualche milione di euro. Sta facendo soltando il suo DOVERE. Aveva in mano un gioiellino che produceva utili, plus valenze per lui; e per i tifosi riscatto sociale, passione ed amore per lo sport. Lo ha ridotto così e lo sta pagando: sta facendo l'uomo che si assume le sue responsabilità.
Parlo invece del Dirigente odierno: il tanto bistrattato Pietro Lo Monaco. Forse chi dice che a quattordici anni di distanza da quando ci portò in serie A non è lo stesso, ha ragione. Con l'età avrà perso energie, smalto; quella "durezza" che era il collante del Catania ormai è molto indebolita e si mostra solo nelle conferenze stampa quando prende di mira con il suo accento campano i giovani giornalisti.
Al netto dei suoi difetti, vecchi e nuovi, del suo sbagliare continuamente gli allenatori, resta pur sempre un dirigente sportivo che ha amore per il Catania, come noi tifosi; un dirigente che ha dato delle priorità al Catania che io considero corrette: innanzitutto mantenere la sua autonomia societaria che vuol dire innanzitutto non fallire; affermare la sua centralità nello sport del territorio: 10 squadre giovanili sono un patrimonio sociale vero; concorrere sempre per la promozione o quanto meno per i primi posti del campionato.
Non vedo nulla di buono in questa brama di promozione "subito", di inseguire il Bari e le altre pretendenti; non porta a nulla di buono la campagna ostile che è stata messa su contro il Direttore e la dirigenza. Da poco abbiamo passato l'esperienza di chi brandiva l'arma della lusinga e prometteva (e portava) a Catania "grandi nomi" che avevano giocato la "scempions". La storia la conosciamo tutti.
Ed è esattamente come dice quel proverbio che i nostri genitori ripetevano sempre: "cu ti fa ridiri ti fa chianciri e cu ti fa chianciri ti fa ridiri".